L’ACCHIAPPASILENZIO

L’ acchiappasilenzio ce l’aveva un bambino,
ma lo ruppe in una risata.

L’ acchiappasilenzio ce l’aveva un uomo,
ma lo dimenticò alla fiera dell’eloquenza.

L’acchiappasilenzio ce l’aveva un vecchio,
ma lo logorò raccontando rimpianti.

L’acchiappasilenzio ce l’aveva un gatto
acciambellato in un raggio di sole
e lo nascose
a tutti.

Tosca Pagliari (marzo 2011)

IL VIZIO DI SCRIVERE

Che bisogno d’eternità
ha l’animo, la mente,
la vanità
d’eprimere,
la necessità
di svuotare il fermento
dell’essere!
Il vizio di scrivere
quasi un bisogno
di cibo per vivere.
Il vizio di scrivere
per far statue di parole
con pietre millenarie.
Il vizio di scrivere
per fermare una diapositiva
far circolare un’opinione
condividere una questione.
Il vizio di scrivere
per mille necessità,
un vizio incallito
dal tempo dell’abecedario
delle prime frasi sul diario
sui banchi e sui muri,
pigiando sui tasti
rumorosi della prima
dattilografia,
davanti allo schermo
di un computer moderno,
volando tra realtà e fantasia.
Ma non so se si può esser sicuri
che sia tra i tanti
di vizi quello più nobile
e prezioso.
Chissà forse è solo
quello più altezzoso
più pretestuoso
che non vuol lasciare
pensieri nascosti
e parole volanti,
ma solo l’ardire
di distribuire a tanti
il frutto di un io
capriccioso
col vizio di scrivere.

Tosca Pagliari (marzo 2011)

LE PRESENZE CHE SE NE VANNO

Dalla voce di Carlotta Ciulli (ottobre 2020)

Le presenze che se ne vanno
ti mancano
e,più che subito,
ti mancano
nel tempo.
Ti mancano
nel guizzare imprevisto
di un pensiero,
che crea catene
di altre pensieri
e ti porta per mano
da chi se n’è andato
oltre
nel nulla
del tuo tempo
e del tuo spazio.
Così mentre
t’accorgi
che irrimediabilmente manca,
chi se n’è andato,
prodigiosamente,
lo ritrovi.
Lo ritrovi
nel chiuso della mente
e, in solitudine,
là dove i sensi
non possono più giungere
per comunicare,
rimane la magica percezione
dell’esistere
oltre la materia.

Tosca Pagliari

( febbraio 2011)

COM’E’ OGGI IL MARE.

Com’è nebbioso oggi il mare
e livido il tempo
indifferente
e grigio
pesa
su tetti, alberi, animi.

Com’è lontano oggi il mare
lontano
dal sole
dal caldo
dall’estate
rapita insieme alle vacanze.

Com’è piccolo oggi il mare
un lembo appena
sfilacciato
nella bruma
del giorno
che già
vuol cedere il passo alla sera.

Tosca Pagliari (2010)

Là dove nascono i sogni

Là dove nascono i sogni
c’è una nicchia tessuta
di speranze,
vi risuonano i sorrisi
trascorsi
e s’avverte già il brusio
di quelli in arrivo.
In questo cantuccio
si attendono i respiri
delle persone più care
che recano fili preziosi
per il canovaccio
di gioia
steso verso il domani.

Tosca Pagliari (Capodanno 2010)

Piove

Piove
una pioggerella fangosa
piove
sabbia rossa di deserto
piove
essenza d’Africa
piove
una goccia sul vetro
vicino alla mia faccia
come un bacio
che arriva
da lontano.

Piove
dai cieli dell’Africa
fin qui
come un viaggio di ritorno.

Tosca Pagliari (2009)

CU C’ERA ‘NTA DDA NOTTI?

Cu c’era a novembri ‘nta dda notti

du millinovicentuvintottu

assittatu ‘nto scuru

a taliari l’uttimu muru

da so casicedda svutata

sutta supra nta na iurnata?

Cu c’era?

Ci n’erunu tanti

nun poi sapiri quanti!

Ma stannu quasi tutti durmennu cuntenti

e sulu qualchi picciriddu di tannu

su chiami magari ti senti

e tu cunta, si a memoria non avi dannu,

di comu a Mascali a genti

si ritrovau di coppu senza nenti.

E’ ‘n picciriddu assittatu

supra ‘n carrettu stranghillato

ca va e s’annaculìa cu scruscio di pignate,

cu roti caricate

e pari prontu a jettarisi di latu.

E’ n’ picciruddu stralunatu

di tutta dda russura

ca s’ammogghia u so paisi

a so casa , l’uttimo muru iancu

ddu muro unni iucare accantu,

cu facci di carusi tosticeddi

e chi sacchette chieni, o iocu di funneddi.

Chi preiu dda nuttata!

A ramminsata

‘n mastru di festa ‘mprussisatu

ordinau di sparari bummi

ma era ammucciatu

cu sapi unni.

Tra ciauru di suffuru,

tutta dda lustrura ca t’assicuta,

‘mpastannu abberi e petri

no é a lava

a picca metri

ma ‘n prodigiu, n’ incantu….

ma picchì a matri avi occhi di chiantu

e vuci di prijera afflitta?

Picchì u patri cu vucca d’infernu

santìa ca testa scuntennu

e n’ti manu impagghiazzìa a burritta?

No sapi a ddu tempu a menti nnuccenti,

a vucca cu denti di latti ridi spalancata.

Ora u sapi a menti d’u vecchiu sapienti

E na lacrima cala lenta e cocenti

supra a faccia du tempu riccamata.

2008

La traduco per i non parlanti siciliano

Chi c’era quella notte?

Chi c’era quella notte

del Millenovecentoventotto

seduto nell’oscurità

a guardare l’ultimo muro

della sua casetta svuotata

sotto sopra in una giornata?

Chi c’era?

C’erano in tanti

non puoi sapere quanti!

Ma stanno tutti dormendo contenti

e solo qualche bambino d’allora

se lo chiami ti sente

e ti racconta, se la memoria non gli fa difetto,

di come a Mascali la gente

si ritrovò di colpo senza niente.

E’ un bambino seduto

sopra un carretto sgangherato

che va dondolandosi con rumore di pentole

su ruote sovraccariche

e sembra pronto a rovesciarsi.

E’ un bambino meravigliato

di tutto quel rossore

che avvolge il suo paese,

la sua casa, l’ultimo muro bianco

quel muro dove giocare accanto,

con facce di ragazzini monelli

e dalle tasche piene, al gioco dei fondelli*.

Che piacere quella nottata!

All’insaputa, un mastro di festa improvvisato

ordinò di far scoppiare i mortaretti

ma era nascosto

chissà dove.

Tra odore di zolfo,

tutto quel chiarore che ti rincorre,

impastando alberi e pietre,

non è la lava

a pochi metri,

ma un prodigio, un incanto…

ma perché la madre ha occhi di pianto

e voce di preghiera afflitta?

Perché il padre con bocca d’inferno

bestemmia scuotendo la testa

e tra le mani sgualcisce il berretto?

Non lo sa a quel tempo la mente innocente

la bocca con denti da latte ride spalancata.

Ora lo sa la mente del vecchio sapiente

e una lacrima scorre lenta e cocente

sulla faccia ricamata dal tempo.

*FUNNEDDI: Gioco tipico dei bambini di quel tempo per il quale utilizzavano dei bottoni. Il gioco stimolava attività creative e destrezza di stima e di calcolo. Tutti i bottoni avevano un valore, ma non lo stesso. Il minor valore l’aveva il bottone da camicia, mentre un grosso bottone da cappotto era il più quotato. Si tracciava un quadrato per terra scomposto in quattro quadrati più piccoli, delle regole ben precise stabilivano punteggi e priorità a secondo di dove finivano i bottoni in rapporto ai quadratini.

Con questa poesia s’intende ricordare la colata lavica del vulcano Etna, nel novembre del 1928, che distrusse interamente il paese di Mascali, il quale venne poi riscostruito più in basso verso il mare.