Convivere con un vulcano attivo è un’esperienza unica. Quel che si vede e quel che si prova quotidiamente è imparagonabile. Nei periodi di quiete quasi si dimenticano i suoi umori e lo si ammira solo come montagna. Dalla mia prospettiva si schiera in tutta la sua altezza e ampiezza. Nelle terse giornate d’inverno la sua cima innevata che si staglia contro il cielo d’un incredibile azzurro lascia senza fiato. Se la vedi un migliaio di volte, un migliaio di volte t’incanti. Quando produce tonfi sordi nel cuore della notte ci dormi quasi cullato da un suono diventato oramai familiare, come il battito d’un cuore di madre. Quando esplode sono notti di spettacolo:naturali giochi pirotecnici, smerli rosseggianti che si allargano a vista d’occhio.
La sua storia, i suoi miti, le sue risonanze letterarie, insieme a tanta bellezza, hanno fatto sì che fosse dichiarata patrimonio dell’UNESCO (United Nations Educational, Scientific and Cultural Organization).
Quel che ora mi piacerebbe è che non restasse un mero riconoscimento, che non ci si appagasse di esaltanti allori, ma che concretamente si avviasse un programma educativo, scientifico e culturale che avesse tra le altre prerogative quelle d’incrementare il turismo, favorire attività lavorative varie, arricchire gli eventi culturi e, in particolar modo provvedere ai necessari interventi nei momenti d’emergenza. Uno dei problemi più seri di questa nostra convivenza con un vulcano attivo è la ricorrerente esplosione di cenere vulcanica. Questa reca danni all’agricoltura, alla viabilità, alla salute, all’economia di tutti quei cittadini che devono farsi carico della ripulitura di tetti e grondaie. La cosa peggiore è una totale inefficienza di molti comuni etnei abbinata ad una completa rassegnazione dei rispettivi abitanti.
Da due mesi a questa parte lo scenario è deprimente: cumoli di cenere dappertutto e barricate di sacchi ripieni di altrettanta cenere raccolta dalle abitazioni. In questo periodo l’Etna dorme e i suoi abitanti attendono gli eventi del fato. Che piova all’improvviso e si crei un’alluvione, che tra un po’ molta gente si ammalerà gravemente …. e chissà ancora cosa.
Chi sta prendendo atto di organizzare mezzi e personali per fare in modo che questa stagione turistica eviti tali obrobri? Chi si sta preoccupando di predisporre un piano d’emergenza perennemente allertato che in quattro e quattr’otto provveda quando si ferifica il fenomeno. Io non lo so, ma magari sono male informata e il mondo intero si sta già movendo. Fatelo sapere così evito di rodermi e di continuare a lanciare appelli da questo blog.
Intanto è ben gradito chi volesse su questa pagina esprimere pareri e suggerire soluzioni ed esporre in qualche modo il proprio pensiero.
A presto.
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VIVERE SECONDO NATURA
L’interdipendenza tra l’umanità e la natura non è solo un risultato ambientale, ma, spesso, una vera e propria simbiosi spirituale. Lo dimostrano l’attaccamento ai propri luoghi d’origine, la necessità di un certo ambiente anzichè un altro. Chi non è mai stato immamorato di un determinato lago, fiume, montagna, bosco …, chi non ne ha fatto culla di ricordi e sospiri di nostalgia. Anche i luoghi apparentemente poco consoni all’insediamento umano, lo diventano eccome prendendo i connotati della normalità quotidiana fino a far sì che il pericolo si trasformi in fascino. Un vulcano, uno strapiombo, una riva … diventano un compromesso tra uomo e natura, un amore, una sfida, una scommessa.
D’altro canto l’opera antropica può mettere a rischio l’ecosistema naturale là dove è la natura che sfinita dallo sforzo di adattamento si rivolta contro e frana, straripa, avvelenata riavvelena, inaridisce …
Dalla narrativa, ai fatti di cronaca, ai documentari, alle ricerche scientifiche l’uomo e la natura formano un tutt’uno. Tuttavia è chiaro che l’uomo ha necessario bisogno della natura, mentre la natura senza l’uomo se la caverebbe alla grande secondo i propri cicli e ritmi biologici.
Sta dunque all’uomo imparare a vivere “naturalmente” anche se l’impresa diventa sempre più ardua e incontrollata. Si confida in quel senso d’appartenenza alla natura, fatto non solo di bisogni di sussistenza fisica, ma anche spirituale, in quell’amore per i propri luoghi dove cultura, mentalità e ricordi fanno sì che anche la specie umana si appropri di radici.
Lascio a chiunque ne abbia voglia lo spazio di dire altro, di dire di più, di dire molto meglio su quest’argomento.