MEMORIE DI CAPODANNO

“Capodanno del 1970 segnava un nuovo decennio, andava festeggiato alla grande.

Pochi istanti prima della mezzanotte ci fu la calca al bagno per far pipì, perché, per esorcizzare tutti i guai più o meno seri accaduti nell’anno uscente, era usanza “pisciarci sopra”.

 Allo scoccare della mezzanotte, tra i frastuono dei botti e degli spari e tra lo scintillio dei fuochi d’artificio, si rincarò la dose del lancio della roba vecchia. Adesso  si poteva far volare dal balcone ed era molto più spettacolare degli anni in cui si era timidamente buttata fuori dalla porta, prestando attenzione a quel che pioveva dall’alto. Piatti, tazze e bicchieri sbeccati o incrinati vennero presi e scaraventati in strada. Nella furia forse si mandò giù anche qualcosa di buono, ma tanto faceva allegria. Bottiglie rigorosamente piene di vino rosso, poiché quello bianco significava lacrime, furono lanciate con grande schianto sul selciato già pieno di cocci d’ogni genere. Dal mangiadischi arrivava la musica a tutto volume delle ultime canzoni in voga.

Lo spettacolo televisivo “Canzonissima” offriva una lotteria di Capodanno di ben 150 milioni di lire, ma non si fece troppa attenzione al programma, specialmente dopo la mezzanotte, intenti ad accendere il falò in mezzo ai rottami e a ballare e cantare come matti. Guai a piangere la notte di Capodanno che poi si sarebbe pianto tutto l’anno, guai a star male o a litigare o aver poco di che imbandire la tavola che poi malanni, litigi e miseria te li saresti ritrovati appresso tutto l’anno. “Sbaddu” ( Divertimento sfrenato) era la parola d’ordine la notte di Capodanno. 

Sul fare dell’alba si spazzò via tutto, ceneri comprese, si misero tutti quei resti di esaltanti baldorie dentro grossi sacchi per la Nettezza Urbana. Come ultima follia i più giovani, ma non solo quelli, gironzolarono per le vie, suonarono i campanelli delle case e poi scapparono spanciandosi dalle risate. In fondo erano tempi in cui ci si divertiva di niente, ma ci si divertiva davvero.”

da “Le foto salvate” di Tosca Pagliari

I SOGNI

Si dorme

e si sogna.

Strani i sogni

nascono da soli.

Sono l’inconscio?

Sono il presentimento?

Sono l’incontro con un’ altra dimensione?

Sono il trasporto in una realtà parallela?

I sogni si fanno e si disfano da soli oppure

sono folletti che annodano il vero all’immaginario?

Non trovo risposte sicure,

ma so che sogno

ed è come affondare

e riemergere in un altro mondo,

è come un respiro e un’apnea

un morire e un rivivere

un vestire e un denudare

un alimentarsi e un digiunare

un impazzire e un rinsavire

un trapassare

un doppio esistere.

Se sono io

sono anche i miei sogni.

E i sogni sono la spia

di quel che nel reale sfugge

sono il suggerimento del segreto

sono il promemoria dell’evento

sono la contraffazione del tangibile.

I sogni sono essenze sfuggenti

che si sciolgono in un risveglio

si dileguano in uno spiraglio di luce.

I sogni sono ingannatori della mente

sono illusionisti spregiudicati

sono lesti, sono scaltri

non si fanno acciuffare.

Non serve stare all’erta

o tendergli trappole

si può solo lasciare che evolvano,

basta solo permettergli

d’ affascinarci

d’ abbandonarci

di spaventarci

di rincuorarci.

Basta lasciarli stare

così come sono

mentre appaiono misteriosi

e svaniscono solitari

tra gli occhi appena schiusi

che si guardano intorno perplessi

alla ricerca di nuovi punti di riferimento.

Tanto i sogni nascono

e poi muoiono

forse senza neanche accorgersi

d’essere esistiti.

(Tosca Pagliari trasognata – dicembre 2020)

TRE DICEMBRE MILLENOVECENTO-SETTANTRE’

Corsa,

minigonna a pieghe

sotto il cappotto spalancato.

Corsa,

dieci lire

di foglio protocollo a righe

per la bella

dieci lire per la brutta.

Corsa,

peso di libri

e di vocabolario di latino.

Corsa,

fumo di fiato

in aria fresca

e capelli che si spettinano.

Corsa,

suono di clacson

fiat coupè bianca.

Si ferma la corsa

impazza il cuore

in corsa

non conosce più ritmi

non trova più limiti.

Corsa,

auto in corsa

sgommata di ruote

sull’asfalto brumoso

libri abbracciati

sul cuore che schianta.

Fermata

spiazziale della littorina

angolo riservato

con tenda d’alberi spogli

fischio di treno in arrivo

pieno di

libri e gioventù

in corsa verso la scuola.

Corsa di treno che riparte.

Auto in sosta.

Si farà tardi

tremendamente tardi.

I volti si accostano

le labbra

il sapore nuovo

del bacio

dolciastro

schiumoso

tabacco e menta

il cuore s’arresta

il tempo si liquefà

in una bolla

e si solleva

sconfina

nel tutto

nel nulla.

Guance in fiamme

la felicità non ha peso

non ha forma

non ha nè ieri

nè domani

solo l’eterno adesso

che evapora

diventa universo.

E via

di corsa!

Corsa di ladra

di pregiato bottino.

Corsa,

già la campanella

si sente da lontano.

Corsa,

si farà tardi,

si farà in qualche modo.

La classe

le scuse

gli occhi due lampade

abbaglianti.

La versione già alla lavagna

il banco, i libri

venti lire di fogli protocollo

a righe spiegazzati.

Di corsa

tocca iniziare

mentre il cuore

ancora scherza

ha battiti di zoccoli

di cavalli sciolti.

“Marius et Sylla”

ecco l’incipit del compito.

Tra le righe un nome

un nome

in tutte le declinazioni

perchè la vita è strana

ma ti parla, ma te le dice

le cose, te le anticipa

se solo potessi capirle

al momento che vanno capite.

Invece è una corsa

una penna che scorre lesta

su venti lire

di fogli di carta protocollo a righe

stropicciati in un bacio

alle otto di mattina.

( Tosca Pagliari – 3 dicembre 2020)

DISCONNESSIONE

Oggi s’è fatto già buio

e non ho scritto alcun pensiero.

È che saranno rimasti a dormire

i miei pensieri creativi

sul guanciale caldo stamattina.

Sicché ho scollato la testa

dal morbido contatto

e loro non mi hanno seguita.

Sapevano

che li avrei trasformati

in affanni

così stanno quieti

trincerati

nell’inconscio del sonno

e mi duole scuoterli.

A volte bisogna

lasciare che la testa

si disconnetta da mani e piedi

e diventi lieve

come un palloncino

evaso oltre le nubi

in un cielo blu

che non conosce la notte.

( Tosca Pagliari – dicembre 2020)

DECENNI DI STRADE

Cammino

decenni e decenni

di strade imboccate

per scelta

o percorse

per caso.

Un passo al giorno

migliaia e migliaia

di chilometri

sempre più stanchi.

Prendo e perdo

perdo e prendo.

All’inizio afferravo avida

poi dovetti imparare

a lasciare andare.

Non so quanto

ancora camminerò

né dove arriverò

né quando arriverò.

Penso che stia attraversando

un circuito strano

e l’arrivo

si ricongiungerà

con quella partenza

che fu il mio primo arrivo

qui

in questo luogo del mio tempo.

Non so cos’altro avrò

e non voglio pensare

a ciò che ancora

potrebbe venirmi a mancare.

Intanto cammino.

Vado pellegrina

vado dritta

svoltando ad est

ogni mattina

per incontrare

il sole nuovo

e per avanzare

di un altro passo.

(Tosca Pagliari – dicembre 2020)

ODORE DI DICEMBRE

C’è il sole

che accompagna l’odore di dicembre.

È odore di legna che si dilegua in fumo

di umido che esala verso il cielo

di agonia di foglie marcite

di aria pungente.

E poi è l’odore stantio

di ciò che vuole tornare

ma non può

è l’odore rarefatto

di scatole riaperte

e subito richiuse

perché nulla

possa fuggire.

irrimediabilmente.

(Tosca Pagliari e la somma di un altro dicembre – dicembre 2020).