A scuola si educa al concetto di uguaglianza cercando di eliminare gli stereotipi discriminatori tra maschi e femmine fin dalla più tenera età. Spesso si svolgono lezioni in merito e si attuano anche di progetti. Questi interventi sono definiti “Educazione di genere”. Per gli alunni più giovani ho inventato una fiaba cercando di utilizzare un linguaggio simbolico adatto alla loro età per veicolare il concetto dell’uguaglianza e delle pari opportunità per le donne e gli uomini. Se a qualcuno dovesse piacere può utilizzarla nelle varie scuole senza fini di lucro e mantenendo il nome dell’autrice Tosca Pagliari.
Ecco una fiaba:
“IL PRINCIPE PIUMETTO E LA PRINCIPESSA MENUCCIA”
(FIABA di Tosca Pagliari)
Nel fantastico bosco di Pariedispari vivevano i piùemeno. Erano una strana specie di folletti dove tutti i maschi indossavano magliette col segno più, cappucci celesti e pantaloncini, mentre tutte le femmine indossavano magliette col segno meno, cappucci rosa e lunghe gonnelle. Questa era una legge che nessuno poteva cambiare.
Nel bosco di Pariedispari c’erano molti alberi con grandi chiome e al centro del bosco c’era un albero altissimo senza chioma a forma di torre . Era l’albero dei fanciulli, quando raggiungevano l’età dei sei anni venivano messi a crescere nell’albero-torre. Le “menucce” ,cioè le femmine, stavano in cima alla torre , i “piumetti”, cioè i maschi, stavano in basso alla base della torre. La scuola nell’albero-torre prevedeva lezioni differenti. Le menucce dovevano stare sedute tutto il giorno a cucire, ricamare, rammendare; solo ogni tanto potevano alzarsi per cucinare, stirare, ripulire. I piumetti potevano uscire dalla torre per andare a calciare le pigne, correre, combattere e persino cavalcare gli oniricanti, strani cavalli alati per sorvolare il bosco e arrivare fino al mondo dei sogni.
Per le menucce e per i piumetti la vita scorreva così, ma un giorno accadde una cosa strana. La regina dei piùemeno mise al mondo due gemelli: una menuccia ed un piumetto, ma dato che erano principi si differenziavano dagli altri perché il loro nome si scriveva con la lettera maiuscola. Così Piumetto e Menuccia crebbero insieme e divisero insieme le loro esperienze per sei anni. Il problema fu quando dovettero entrare nell’albero-torre. Piansero e si disperarono, ma come tutti gli altri fanciulli dovettero accettare la loro sorte.
La principessina Menuccia cuciva e piangeva non perché si pungeva con l’ago, ma perché le pungeva il cuore al pensiero di non poter correre per il bosco e volare su un oniricante. Il principino Piumetto tirava calci alle pigne e gridava di rabbia, non perché si faceva male ai piedi, ma perché avrebbe voluto una cucina tutta per sé dove lui era lo chef e poteva inventare ogni giorno un dolce diverso.
Di questa stranezza se ne accorsero tutti e fortuna che erano figli della regina e del re, altrimenti li avrebbero portati a sperdere nella caverna scura per nasconderli agli occhi del mondo. Nessuno osava parlare chiaramente, ma tutti mormoravano. Allora il re e la regina decisero di fare arrivare un mago da lontano.
Mentre il mago era in viaggio, i principini combinarono un bel guaio. La principessa Menuccia decise di trasgredire agli ordini e scendere dall’albero torre, contemporaneamente il principe Piumetto pensò anche lui di fare di testa sua e salire verso la cima. Si incontrarono a metà scala, si abbracciarono pieni di gioia e, sempre contemporaneamente pensarono di scambiarsi i vestiti, (del resto erano gemelli e le loro menti stavano sempre in comunicazione).
Accadde che sulla cima dell’albero torre impartiva le lezioni una vecchia strega che si accorse subito del trucco e disse:
“Non m’importa se sei un principe, hai trasgredito alle regole e dovrai pagare per questo! Volevi fare le cose all’incontrario ed io ti punirò mettendoti all’incontrario!”
Così lo prese e lo legò con una corda e lo appese a testa in giù dalla più alta finestra dell’albero-torre.
Poi aggiunse: “ E così rimarrai finché l’aria sarà aria e la terra sarà terra!”.
Alla base dell’albero torre, impartiva le lezioni un vecchio stregone che si accorse anche lui del trucco e disse:
“ Anche se sei una principessa verrai punita! Ti farò spuntare le mani al posto dei piedi e i piedi al posto delle mani così non potrai né correre, né giocare, come era stabilito dalla legge per le menucce. E così rimarrai finché il fuoco sarà fuoco e l’acqua sarà acqua!”
Le giornate trascorrevano in modo terribile per il principe Piumetto e la principessa Menuccia, ma la notte potevano sognare e nel sogno s’incontravano. Il principe Piumetto sfornava un dolce dopo l’altro e la principessa Menuccia correva e calciava le pigne tirandole a segno dentro le buche.
Poi una notte, evocato dal sogno in comune arrivò Sognoesondesto. Questo era il più bell’ esemplare di oniricante che si fosse mai visto: era nero, morbido e lucido come il velluto e aveva lunghe ali di seta color argento. Sognoesondesto poteva fare ogni cosa. Iniziò a galoppare velocemente intorno al bosco, così velocemente che tutto roteava come i panni dentro una lavatrice quando fa la centrifuga. Roteando velocemente ogni cosà sembrò impazzita. Tutto si mescolò, si scaldò, bollì, evaporò così che l’acqua spense il fuoco e il fuoco si fece vapore e poi diventò acqua; un vento portentoso sparse la terra fino al cielo e invase l’aria così l’aria divenne terra e la terra divenne aria. E si ruppe l’incantesimo! Il principe Piumetto fu sciolto da quella terribile posizione e la principessa Menuccia riebbe mani e piedi al loro posto.
Intanto era arrivato anche il mago da lontano. C’era stato tanto perché aveva viaggiato col peso di un grosso libro. Era il suo libro delle magie dal lungo titolo “Pensa-rifletti-bene-che-a-tutti-conviene”. Al cospetto del re e della regina lo aprì e lesse la magia:
“Più e Meno,
ingiustizia e veleno
piumetti e menucce
maschietti e femminucce
diversi di forma
uguali di norma
la norma è nella legge
la rispetti chi legge!”.
Con questa magia il bosco di Pariedispari divenne il bosco di Paripari dove piumetti e menucce facevano quello che piaceva loro fare. Furono abolite le magliette col più e col meno e tutti indossarono una maglietta col segno uguale e per il resto si vestirono come più gli piaceva vestirsi. La principessa Menuccia divenne una campionessa di calcio alla pigna e il principe Piumetto un grande cuoco.
E vissero tutti uguali, felici e contenti.
(Tosca Pagliari 7 maggio 2016)
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Ecco un’altra nuova fiaba, anche questa può essere utilizzata senza fini di lucro e mantenendo la paternità (o si dovrebbe dire maternità?) di Tosca Pagliari.
“BECCHI ROSSI E BECCHI AZZURRI”
(FIABA di Tosca Pagliari)
Nel paese di Paperiquack vivevano paperotte tutte rosse chiamate becchi-rossi e paperotti tutti azzurri chiamati becchi-azzurri.
Le paperotte becchi-rossi stavano giorno e notte dentro il recinto ed erano sempre indaffarate avanti e indietro a cercare chicchi e granaglie varie, poi dovevano tenere sotto controllo i piccoli che scappavano di qua e di là e, quando sembrava che avessero finito, dovevano mettersi a covare le uova rosse e azzurre dalle quali poi nascevano altri becchi-rossi e becchi-azzurri.
I paperotti becchi-azzurri al mattino uscivano dal recinto, sguazzavano la maggior parte del tempo nello stagno per pescare bacche acquatiche e molluschi; andavano anche a caccia di larve e insetti. Un po’ del cibo che si procuravano lo mangiavano loro, ma la maggior parte lo portavano nel recinto per sfamare tutto il resto della famiglia e i pulcini tutte le sere li attendevano trepidanti.
Le paperotte becchi-rossi si lamentavano del loro faticoso lavoro dentro il recinto e avevano da ridire sul fatto che i becchi azzurri se la spassavano fuori dal recinto e potevano persino sguazzare nello stagno.
I paperotti becchi-azzurri dal canto loro si lamentavano pure perché le loro compagne becchi-rossi potevano starsene all’asciutto a giocare con i piccoli mentre loro dovevano passare tutto quel tempo in acqua e lontano dalla famiglia.
Una becco-rossa più impertinente andò da Becco-doro, sovrano dei paperi, e gli chiese:
_ Perché i becchi-azzurri sono privilegiati?
Ma, mentre Becco-doro stava per rispondere, sopraggiunse anche un becco-azzurro piuttosto arrabbiato che disse:
_ No, non siamo noi i privilegiati, ma loro coi becchi rossi! Noi poveri becchi-azzurri …
Becco-rosso non lo fece finire di parlare e gli balzò addosso ferendolo a beccate e, per difendersi, becco-azzurro si mise a dare beccate anche lui. Ci fu un bel parapiglia a colpi di becco, qua qua qua scatenati e piume che volavano in aria.
Il re, furibondo, chiamò le guardie e fece condurre i prigionieri nel pensatoio dicendo:
_ Starete lì dentro finché non avrete trovato una soluzione pacifica.
Il pensatoio era una gabbia sospesa in un pozzo umido e buio. Dopo tre giorni di pensatoio, becco-rosso e becco-azzurro avevano fatto la pace e avevano deciso di andare a consultare una fata per risolvere la questione. Così il re li liberò.
Becco-rosso e becco-azzurro si recarono dunque dalla fata Accorda-e-vinci e le raccontarono le loro ragioni. Dopo averli ascoltati la fata disse loro:
_ Portatemi tutte le vostre uova e troverò la soluzione.
Becco-rosso e becco-azzurro andarono e tornarono con ceste stracolme di tutte le loro uova e, attenti a non romperne neanche una, le depositarono davanti alla fata Accorda-e-vinci. Subito la fata agitò la bacchetta magica iniziò a dire:
“Bacchetta mia bacchetta
la legge sia perfetta
una volta per uno
non fa male a nessuno”.
Poi riconsegnò le uova al paperotto e alla paperotta che se ne tornarono a casa mogi mogi senza aver capito nulla e convinti che tutto fosse rimasto come prima.
Ma dopo una settimana le uova si schiusero e magia! E meraviglia delle meraviglie! Erano nati incantevoli pulcini tutti quanti di colore viola! Emanavano anche una luce viola, che illuminando becchi-rossi e becchi-azzurri faceva diventare viola pure loro.
Così non ci fu più alcuna differenza e da allora in poi, a turno, tutti si scambiarono i lavori e le responsabilità. Maschi e femmine diventarono bravi a saper fare ogni cosa e si davano pure il cambio a covare i bellissimi pulcini.
Ancora oggi vivono tutti viola felici e contenti.
(Tosca Pagliari – 9 maggio 2016)