Oggi 29 febbraio: un giorno in più da sfruttare al meglio.
Beh, non lo so se sarà il meglio, ma mi voglio cimentare in qualcosa di nuovo. Scriverò per la prima volta la recensione di un film. Di recensioni di libri ne ho scritte diverse, ma di film mai. Ebbene scelgo il più recente che ho visto: “Perfetti sconosciuti”.
A visione conclusa ho realizzato che dal punto di vista commerciale è un film senz’altro ben congegnato: economia di produzione e molto richiamo d’incasso. Pochi e bravi attori, una casa come location, quasi come stare a teatro. Ma la bravura degli attori e la tessitura della trama fanno sì che neanche te ne accorgi di una scenografia limitata, l’inquietante retroscena della vita privata dei protagosti assorbe lo spettatore in maniera intensa ed esilerante.
Di risate me ne sono fatte tante, proprio tante, di quelle che lasciano le lacrime agli occhi, le mascelle contratte e in bocca un retrogusto un po’acido d’una salsa in agrodolce pensando che magari sono cose che succedono davvero, molto più di quel che s’immagini.
Il telefono cellulare è l’attore principale, è ciò che viene definito in una battuta “la scatola nera della nostra vita”. Lo definirei pure la “cartina di tornasole dei falsi perbenismi”.
Nessuno in sostanza è un’anima candida, nessun rapporto di coppia ha come base reciproca fedeltà e comprensione, ma è tutto un giocare d’intrallazzo in famiglia e tra gli amici. La morale comune si dissolve in moralismi di facciata. Tra tutte le coppie che sono “scoppiate” in sordina, l’omossessualità quasi si rivela come l’ultima onesta normalità, anche se smaschera pur sempre una forte intolleranza.
E finchè, nel susseguirsi degli eventi pareva che i protagonisti riuscissero a svelare, mediante il gioco della famigerata “scatola nera”, gli anfratti reconditi del loro essere con relative tragicomiche conseguenze, fin qui pareva ancora di respirare. Pareva ci fosse un riscatto, una voglia di mettere le cose in chiaro a qualunque costo. Poi invece il finale sorprende poichè rivela che era tutto frutto dell’immaginazione, i giochi loschi continuavano di soppiatto insieme ai baci ed ai sorrisi ipocriti, nulla di chiarificatorio c’era mai stato. Permane la filosofia del “fare finta per quieto vivere”, o peggio ancora si ha l’impressione che sia l’unica filosofia possibile per evitare la catastrofe, per poter sopravvivere in qualche modo.
Ecco, è stato allora, mentre mi alzavo per andare via, mentre scostavo le tende della sala da proiezione ancora buia e mi abbagliava la luce della sala d’ingresso, con la folla che faceva ressa per uscire da una parte più quella per entrare dall’altra parte,è stato proprio allora che mi è venuta una sorta di mal di mare. O forse una sorta di perdita di ricognizione, quel senso di vuoto e di vertigine che assale nel trovarsi di fronte a qualcosa abituati a vederla in una proporzione e poi riscoprirsela di fronte in un’altra. Poche volte avevo sperimentato questa sensazione in vita mia;da ragazza ciò mi succedeva quando le opere d’arte, troppo a lungo osservate in piccole immagini sui libri o sulle cartoline, poi me le ritrovavo davanti in tutta la loro gigantesca forma. Oppure quando all’incontrario avevo visto bellezze architettoniche nelle loro reali misure e poi le avevo incontrate miniaturizzate in qualche parco d’attrazione turistica. Ora, in questo caso, l’essere vissuta con l’idea d’una misura di una morale e rivedermi il tutto ridimensionato, mi ha fatto girare la testa.
Poi prima di addormentarmi,mi sono chiesta: “Ma dove stiamo andando?” “Ma che stiamo andando a fare?”
Stranamente il logorio della domanda non mi ha tolto il sonno, anzi sono crollata di colpo verso la salvezza dell’oblio.
Adesso sono qui che scrivo, che ho scritto, che non so neanche se ho spiegato bene quel che volevo dire e mi accorgo che tutto sta nel titolo del film. “Perfetti sconosciuti” non sono solo le persone tra di loro, anche le più intime, perfetti sconosciuti sono tutti gli scenari futuri delle relazioni umane dove ognuno forse, mi auguro tanto di sbagliarmi, sarà una monade, un essere compiuto in se stesso e gli altri saranno solo ornamenti o giocattoli del proprio vivere.
La specie umana si è evoluta nei millenni via via che sono avvenuti cambiamenti nell’ambiente circostante. Si era arrivati alla grande svolta dell’homo sapiens sapiens, ma il cammino è andato avanti e ora siamo all’homo “tecnologicus” (mah!), che può fare largo uso della tecnologia anche per rinunciare al concetto di pathos e vedere tutto come qualcosa di banalmente e freddamente ludico.
Ma se un videogioco ti concede tante vite per poter riprovare e rimediare, la vita vera è una soltanto scandita dalla semplice quotidianità. O pensano di potersene inventare altre ancora di scorta? Chissà magari c’è già pronta qualche” app” da scaricare!