Mentre iniziano ad imperversare gli schiamazzi di Carnevale, allegri e ben attesi; mentre su drammatici casi di cronaca impazziscono esageratamente i talk show; mentre il tempo si fa grigio e s’ode lontano un rombo di tuono; mentre prendo sempre più consapevolezza del rumore, è allora che torno a pensare al silenzio.
“E interessante una meditazione sul silenzio.
Il silenizio è anche una altro modo di parlare, un’offerta d’interpretazione delle cose ultilizzando un codice muto. Un silenzio può essere una sfida, un’arresa, un’insolenza, un rispetto, un consenso, un rifiuto, una presenza, un’assenza, può essere tutto e tutto il suo contrario. Il fatto è che appena si nasce si strilla, poi si comincia ad imparare a parlare, dopo di che a leggere a scrivere; c’è persino chi, per cultura o per occasioni di vita, impara anche ad esprimersi in altre lingue. Gli animali hanno i loro versi, gli oggetti producono i loro rumori. No, non siamo proprio avvezzi al silenzio. Il silenzio spesso lo viviamo come un’imposizione data da situazioni particolari. Educare al silenzio è un’impresa, rispettare il silenzio è una virtù di pochi, comprendere la sostanza del silenzio è quasi una magia.” ( Questo l’avevo già scritto in un precedente commento).
Sul tema del silenzio v’invito dunque ad esporre le vostre idee, a trovare brani letterari, modi di dire e tutto ciò che vi andrà di esporre.
Come dite, scusa? Che faccio l’apologia del silenzio e poi v’invito al discorso? ( Ho letto di recente “Canale Mussolini” di A. Pennacchi e mi piace ricalcare il suo modo di rivolgersi ai lettori, non è un plagio, è un gioco. Tante scuse a Pennacchi e chiudo parentesi).
E sì, faccio l’apologia del silenzio e poi v’invito al discorso perchè ci si accorge del silenzio solo dopo averlo rotto.
O no?